giovedì 26 novembre 2009

Sospeso dal TAR il provvedimento di revoca del Presidente del Consiglio comunale

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in data 25 novembre, ha accolto il ricorso presentato dal consigliere Fabio Di Lorenzi contro la sua revoca da Presidente del Consiglio comunale di Rignano Flaminio, sospendendo temporaneamente il provvedimento fino alla data del 3 dicembre prossimo, quando si riunirà la Camera di Consiglio per discutere la domanda cautelare. Si attendono nuove sorprese. Nel frattempo, così, Di Lorenzi torna a convocare il Consiglio comunale per lunedì 30 novembre, con all'o.d.g. l'assestamento di bilancio per l'esercizio finanziario 2009.

lunedì 16 novembre 2009

Consiglio comunale: alla Maggioranza manca il numero legale su un punto all'o.d.g.

In sintesi potrebbe racchiudersi nel titolo di questo post, quanto emerso nell'ultima seduta di Consiglio che si è tenuta questa mattina alle ore 9,00 presso il Palazzo comunale. L'uscita dalla Maggioranza del gruppo dell'UDC, ha reso senza dubbio le iniziative, fin qui portate avanti dall'Opposizione, molto più incisive e forti (cinque è meglio che tre!). Ma andiamo con ordine. Dopo l'approvazione dei verbali delle sedute precedenti (quelli del 30 settembre sono stati approvati con le rettifiche richieste dal sottoscritto, mentre quello del 17 ottobre - riguardante, come vi ricorderete, la seduta sulla revoca del Presidente del consiglio comunale - è stato approvato con i soli voti della Maggioranza), si è passati alla discussione degli altri punti all'o.d.g.:
1. sostituzione componente commissioni consiliari permanenti: la Maggioranza ha proposto la sostituzione del consigliere Scisci con quella di Pucci;
2. nomina Revisore dei Conti triennio 2009/2012: senza aver pubblicato un avviso per l'acquisizione di candidature professionali idonee, la Maggioranza, su richiesta anche del sottoscritto, è stata costretta al ritiro del punto (a tal proprosito, chi potesse esser interessato alla nomina per questo incarico, può mandare sin da subito richiesta al Comune con allegato proprio curriculum);
3. piano lottizzazione convenzionata Valloppio: essendo usciti tutti e cinque i consiglieri di Opposizione che hanno dichiarato di non voler partecipare al voto sul punto all'o.d.g. (Marcorelli, Giordani, Mancini, Lupi e Di Lorenzi), la Maggioranza, essendo assenti Gaspari, Di Lorenzo e Scisci e costretto a non partecipare al voto anche l'ing. Conte quale tecnico che ha redatto il piano in questione, non ha avuto il numero legale per l'approvazione dello stesso, che dovrà esser ripresentato nella prossima seduta utile di Consiglio;
4. ratifica due delibere di giunta riguardanti variazioni di bilancio: su precisa richiesta del sottoscritto riguardo due chiarimenti sulle delibere in questione (uno principalmente per una variazione in uscita di euro 10.000,00 per il servizio di ragioneria in convenzione con il Comune di Morlupo, già scaduto da tempo, ma che solo ora vede trovata la copertura finanziaria?), il Sindaco ha dichiarato che darà risposta al prossimo Consiglio comunale - ma non è stamattina che si doveva votare sull'argomento e, mi chiedo, tutti quelli che hanno votato a favore (la Maggioranza) erano a conoscenza del significato di queste variazioni? Beh, comunque l'importante è che il Sindaco ci risponderà... prossimamente!!!;
5. approvazione schemi di convenzione contratti di servizio tra il Comune di Rignano e l'azienda multiservizi ASI per pulizia immobili comunali (27.000,00 euro) e attività di supporto agli uffici comunali (poco più di 110.000,00 euro): è legittima questa convenzione? e perchè l'ASI, senza avere ancora il contratto, ha già svolto delle selezioni per assumere persone che ricopriranno queste funzioni (tra l'altro, senza commentare, vi invito a leggere le graduatorie di queste selezioni, oltre a quelle già svolte per la mensa e l'asilo nido...)? attendiamo fiduciosi, come promesso dall'ing. Conte, una riunione urgente per fare chiarezza sullo stato di fatto della gestione dell'ASI - multiservizi;
6. Bilancio partecipato - Bando Regione Lazio - azioni di sviluppo socio-economiche: il Comune di Rignano ha ripresentato il progetto di costruzione del Centro di aggregazione giovanile (il sottoscritto ha lamentato il fatto che non basta, per i giovani, costruire solamente un centro di aggregazione, sarebbe ora e con una certa urgenza che l'Amministrazione comunale cominciasse seriamente a sviluppare serie e concrete politiche giovanili);
7. mozione su test antidroga per i consiglieri comunali, presentata dal sottoscritto: alla luce degli ultimi fatti di cronaca che potrebbero gettare un discredito generalizzato sull'intera classe politica e anche delle ultime dichiarazioni del Presidente della Repubblica Napolitano che ha richiamato i politici ad una maggiore "moralità", il sottoscritto ha proposto che i consiglieri comunali si sottopongano al test antidroga assumendo comportamenti esemplari nei confronti dei cittadini (la mozione è stata approvata all'unanimità);
8. appello Banda larga come servizio universale - raccogliendo l'invito del Presidente della Provincia di Roma Zingaretti, ho presentato un appello che impegnasse il Comune di Rignano, come altri enti, a chiedere al Governo e al Parlamento di approvare una legge che riconosca anche in Italia l'accesso ad internet in banda larga come servizio universale (anche questo odg è passato all'unanimità).
Ripeto: cinque è meglio che tre... continuiamo così!

domenica 15 novembre 2009

Napolitano: "Conta la moralità"

NAPOLI - Giorgio Napolitano dice che per partecipare costruttivamente alla vita pubblica ci vogliono abnegazione e voglia di svolgere una missione nell'interesse generale, e capacità che non si improvvisano, perché "la politica non può vivere di dilettantismo", ma "quel che più conta è la moralità" della politica. Non importa, spiega il presidente della Repubblica, da dove uno arriva all'impegno politico e neppure in quale schieramento va. "Ci si schieri liberamente a destra o a sinistra, in politica le cose che contano sono la nobiltà, il senso del limite, anche del ruolo alto e insostituibile della politica, e la dedizione all'interesse generale". Non sono parole leggere, con i tempi che corrono e le inchieste che coinvolgono personaggi pubblici. Il caloroso applauso che sale dalla Sala dei Baroni del Maschio Angioino, gremita di pubblico e ospiti illustri, dice che sono parole largamente condivise. Napolitano partecipa alla commemorazione pubblica di Maurizio Valenzi, storico sindaco di Napoli scomparso pochi mesi fa e di cui si celebra oggi il centenario dalla nascita. C'é il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, c'é il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, ci sono gli amministratori locali e regionali di Napoli. Letta ascolta e subito dopo dichiara il suo consenso. "Condivido e sottoscrivo totalmente le parole del presidente. Credo che il suo richiamo - dice - sarà accolto perché è nell'interesse del Paese". Il capo dello stato ricorda, con commozione che Valenzi fu dirigente del Pci, amico suo e della sua famiglia. "Era una gran persona, non solo come sindaco, era un esempio di nobiltà della politica", ed era stimato anche dagli avversari politici. "Era difficile non volergli bene, per come era fatto e per la sua naturale tendenza a vivere la politica con passione, ma senza odio e fanatismo. Era arrivato alla politica dall'impegno culturale e artistico". Da giovane era un pittore di talento, poi era diventato ciò che si definisce un politico di professione, apparteneva cioé, dice il presidente della Repubblica, "ad una specie forse in via di estinzione che bisogna tuttavia difendere storicamente da giudizi sommari e grossolani. Fare della politica una 'scelta di vita', per usare la famosa espressione di Giorgio Amendola, dedicarsi interamente all'esercizio dell'attività politica è stato il modo in cui molti hanno contribuito alla costruzione della democrazia, allo sviluppo della vita democratica nelle società dell'occidente europeo. Poi, certo, - aggiunge Napolitano - la vicenda dei politici di professione, nell'Italia della Costituzione repubblicana e altrove, ha fatto tutt'uno con la vicenda dei partiti, con la loro ascesa e anche con le involuzioni e le degenerazioni del sistema dei partiti, con il burocratizzarsi del fare politica e l'immeschinirsi della figura dei politici di professione diventati talvolta semplici soggetti e agenti di calcoli e giochi di potere. Ma tutto ciò non può cancellare i tratti positivi originali di quell'esperienza". "Dedicarsi interamente alla politica ha significato per un periodo non breve della nostra storia - sottolinea Napolitano - avere un forte senso della missione, spirito di servizio e sacrificio prima e al di là di ogni legittima ambizione personale". "Non sono qui per idoleggiare nostalgicamente il tempo che fu, il sistema dei partiti di una volta e la figura un tempo prevalente dei politici di professione", precisa Napolitano. E' evidente quel che vuol dire: che certi requisiti sono importanti anche oggi. "Alla politica e anche alla competizione a cui si partecipa per assumere ruoli nelle istituzioni - afferma - si può giungere in modi diversi: dalla società civile, dal mondo del lavoro o delle imprese o dalla cultura. In ogni caso bisogna sapere che la politica richiede qualità specifiche, richiede che si abbiamo o si acquisiscano queste qualità perché la politica non può vivere di dilettantismi. Si potrebbe dire, con una frase di Benedetto Croce, che la politica è un'arte a sé stante". (fonte: ANSA)

lunedì 9 novembre 2009

20 anni dalla caduta del Muro


Sono oggi 20 anni dalla caduta di quel Muro... e vorrei ricordare quella data con le parole che molti anni prima pronunciò Benigno Zaccagnini, in un discorso alla Camera, nel luglio del 1963: «Vi è una barriera che per noi tutte le simboleggia: il muro di Berlino, un muro che per la prima volta nella storia serve non per impedire che altri dall’esterno penetri, ma per impedire che chi soffre dentro la città di Berlino est possa uscire ed evaderne. Noi sappiamo che anche questo muro verrà abbattuto; e non verrà abbattuto dai carri armati, ma dal cammino travolgente delle idee di libertà, di giustizia e di pace che ovunque avanzano nel mondo» (Benigno Zaccagnini, 11 luglio 1963).

venerdì 6 novembre 2009

Così Zac ci insegnò a credere che i muri sarebbero caduti

Quando arrivò la notizia che Zaccagnini non era più tra noi, quella sera di vent’anni fa, in poche ore in tanti cominciammo a telefonarci. Improvvisamente ricostruimmo una rete di contatti, di rapporti che in molti casi si erano allentati o interrotti nel tempo.
Ci telefonammo in ogni città d’Italia per parlarci di quel dolore che sentivamo dentro.
A migliaia ci sentimmo d’improvviso come orfani di un padre a cui volevamo un bene intenso. Perché era qualcosa di più, e di più intimo, di un rapporto tra discepoli e maestro. Qualcosa di più, e di più profondo, del rapporto tra un leader e le migliaia di giovani che lui aveva avvicinato alla politica, che avevano iniziato a fare politica grazie a lui.
Ci sentivamo veramente una generazione, i ragazzi di Zac, arrivati a scegliere la Democrazia cristiana quando, dopo le dure sconfitte al referendum sul divorzio e alle amministrative del 1975, il partito aveva imboccato in quel modo imprevisto la strada del rinnovamento, sotto la guida di quest’uomo così diverso dall’immagine grigia e ripiegata sulla sola gestione del potere che la Dc in quegli anni aveva trasmesso al paese.
Qualcuno, anche allora, e ancora negli anni successivi, ironizzò sulla parabola di quell’uomo mite che era improvvisamente approdato sotto la luce dei riflettori. Lo chiamavano l’onesto Zac, dove l’aggettivo “onesto” doveva rappresentare nello stesso tempo un riconoscimento e un limite. Fu proprio quell’aggettivo che a noi ragazzi sembrò una straordinaria dote, così rara in quella stagione: la credibilità personale.
Benigno Zaccagnini era effettivamente un politico diverso dagli altri.
Perché per lui l’impegno era qualcosa che scaturiva come conseguenza inevitabile della sua fede.
In politica non per la fede ma a causa della fede. Non si stancava mai di ripetere ai giovani quella spiegazione.
E in questa motivazione, così impegnativa, c’era il senso di un dovere che non si può ignorare. Quel dovere di mettersi sempre al servizio del prossimo.
Per lui era stato sempre così, e noi lo sapevamo e lo vedevamo.
Sapevamo e conoscevamo questa sua storia avventurosa e complicata, che lo aveva portato a cambiare la sua vita e a dire di sì a domande scomode. Come quando aderì alla Resistenza. O come quando, finita la guerra, dovette cambiare i suoi progetti di vita, di medico, per rispondere alla chiamata della politica.
La politica come carità. La politica come amore del prossimo.
La politica come il campo dove testimoniare la “differenza cristiana”. Fu questa radicale distanza dal modello del politico tradizionale che ci affascinò e ci conquistò. Perché in Zac vedevamo un uomo che usava il potere e non ne era usato.
Lo scrisse bene Walter Tobagi nel febbraio del 1980, tre mesi prima di essere ammazzato dalle Brigate rosse: «Il primo miracolo di Zaccagnini è stato di restituire fiducia ad un partito che pareva destinato al naufragio: l’onesto Zaccagnini, il segretario dalla faccia pulita, il simbolo dell’antipotere che entusiasma le folle, parla ai giovani, risveglia l’anima popolare del partito, reinventa le feste all’insegna dell’amicizia e del confronto-concorrenza con i comunisti ».
Non c’è dubbio che la segreteria di Zac fu una straordinaria intuizione di Aldo Moro e della sua intelligenza politica.
Ma ciò che salvò la Dc fu qualcosa di più e forse di imprevisto: fu la credibilità personale, di uomo capace di ricostruire attorno al partito speranza e fiducia.
Avvenne tutto in pochi mesi.
Zaccagnini cominciò commemorando don Mazzolari, riscoprì il messaggio più autentico dell’ispirazione cristiana, di quel prete di campagna che parlava di “rivoluzione cristiana”.
Poi parlò, come Berlinguer, di una questione morale. E i giovani, tra lo stupore dei notabili che non capivano come quel dirigente ritenuto provvisorio e fragile potesse suscitare entusiasmi mai visti, lo seguirono, lo sostennero, contagiarono gran parte del partito sino a spezzare equilibri e incrostazioni interne.
Eravamo in centomila ragazzi, arrivati chissà da dove, spontaneamente e senza nessuna organizzazione, nella piazza di Palmanova, alla chiusura della prima festa dell’Amicizia nazionale, a sventolare bandiere che non sventolavano più da decenni ascoltando Zaccagnini che, a conclusione di quel discorso, ci diceva: «Il fiore è di nuovo bianco».
C’era, in quelle parole, il senso del nostro orgoglio. Della nostra appartenenza a una grande storia, che veniva da lontano, e che era stata in qualche modo piegata e avvilita.
«È proprio l’ identità democratica e cristiana del nostro partito – diceva Zaccagnini nella replica che concluse il congresso del ’76 – che non ci consente di essere il polo moderato dello schieramento politico italiano, il partito conservatore sottoposto alla volontà dei suoi protettori borghesi, e nemmeno il comitato d’affari del capitalismo italiano, oppure un’organizzazione di pura e semplice occupazione del potere». Sono parole che suonano ancora oggi come scandalose e audaci. E noi, giovani, democratici e cristiani, ci sentivamo rappresentati da un uomo che parlava così. Con un linguaggio che a distanza di tanti anni ha conservato una forza dirompente.
Ci stava stretto un partito moderato. Non ci piaceva un partito condannato a governare e votato solo per il suo essere baluardo anticomunista. Magari turandosi il naso. Ci sentivamo avversari dei comunisti, certo. Ma volevamo con loro una gara virtuosa tra chi aveva le idee più innovative, tra chi si impegnava di più per i propri ideali. Anche questo ci aveva spiegato Zac, con quella frase che per noi è famosa: «Sul piano politico il no al comunismo significa che se essi studiano, noi dobbiamo studiare di più; che se essi lavorano, noi dobbiamo lavorare di più; che se essi sono seri, noi dobbiamo essere più seri; che se essi hanno fede, noi dobbiamo avere più fede e certezza nelle nostre idee di quanta ne abbiano loro».
Nel Pci, in quella grande forza popolare, vedevamo profonde diversità ma anche valori comuni. Quei valori e quegli ideali che avevano tenuto insieme, nella Resistenza, i partigiani bianchi e quelli rossi. E che erano stati tradotti nel lavoro comune per scrivere insieme a persone di altre culture politiche la nostra Costituzione.
Era la storia dell’amicizia tra due ravennati, Benigno Zaccagnini, il partigiano Tommaso Moro e Arrigo Boldrini , il mitico Bulow. Ed era anche la storia dell’amicizia tra mio padre, giovane partigiano, e i suoi avversari politici.
Infine c’è un merito che la storia di questo paese deve ancora riconoscere a Zaccagnini: il ruolo insostituibile che ebbe nella lotta al terrorismo e alle Brigate rosse. Non soltanto per la scelta della linea della fermezza, pagata con una sofferenza atroce, nei giorni del rapimento e del martirio di Moro.
Quella sofferenza che io ricordo bene nei suoi racconti privati, ancora trafitti dal dolore quasi dieci anni dopo, quando nel salotto della sua casa di Ravenna, durante le vacanze di Natale, a me, a Renzo Lusetti, a Gianclaudio Bressa e ad altri figli suoi, raccontava di quei giorni, mostrando nella voce e nelle pieghe del volto quelle ferite ancora aperte.
Ma il merito storico che gli va riconosciuto sta soprattutto nel fatto che soltanto la sua Democrazia cristiana fu in grado di reggere l’impatto drammatico di quei giorni senza essere spazzata via dagli eventi, perché era tornata a essere credibile e popolare nel paese con la sua segreteria e per la sua credibilità personale. Non sarebbe stato così, la Dc non avrebbe avuto la sua forza, se nel luglio del 1975, meno di tre anni prima del rapimento di Moro, il partito non avesse cambiato sostanza e immagine grazie alla sua elezione, ricostruendo il suo rapporto con la società e i ceti popolari.
Oggi, anche per questo, dovrebbe essere ricordato dalla repubblica Italiana come uno dei suoi più autorevoli e determinanti servitori.
Noi lo ricorderemo anche per la sua diversità, per la sua profonda semplicità, per la sua capacità di guardare lontano.
L’11 luglio del 1963, intervenendo alla camera, si rivolse a Togliatti con parole profetiche: «Vi è una barriera che per noi tutte le simboleggia: il muro di Berlino, un muro che per la prima volta nella storia serve non per impedire che altri dall’esterno penetri, ma per impedire che chi soffre dentro la città di Berlino est possa uscire ed evaderne. Noi sappiamo che anche questo muro verrà abbattuto; e non verrà abbattuto dai carri armati, ma dal cammino travolgente delle idee di libertà, di giustizia e di pace che ovunque avanzano nel mondo».
Ci asciugammo le lacrime e ci telefonammo di nuovo in tanti la notte del 9 novembre 1989, mentre guardavamo in televisione i giovani di Berlino che abbattevano con la loro gioia incontenibile il muro della paura e della divisione. Zac se n’era andato appena quattro giorni prima.
Soltanto quattro giorni in più – ci dicemmo quella sera – gli sarebbero bastati per vedere quella notte che lui aveva sognato quasi trent’anni prima.
E avrebbe avuto il diritto di vederla e di viverla, quella notte meravigliosa.
Ma fu quello l’ultimo prezioso regalo di Benigno Zaccagnini ai suoi ragazzi: dimostrare che si può credere ai sogni, dimostrare che avere una fede e viverla come un servizio, può servire davvero per cambiare il mondo.

(intervento di Dario Franceschini alla commemorazione alla Camera nel ventennale della morte di Zaccagnini)

giovedì 5 novembre 2009

A 20 anni dalla morte



Benigno Zaccagnini: “... occorre custodire in se stessi un'anima intimamente rivoluzionaria operando però nel concreto con metodo, tenacemente, instancabilmente e senza sentirsi mai soddisfatti...” (5 novembre 1989- 5 novembre 2009)